CAST e ricerca su Covid-19

Covid-19: trombosi polmonare segno distintivo dei casi gravi. Verso l’identificazione di nuovi obiettivi terapeutici
 

Nonostante la malattia COVID -19 si manifesti inizialmente come una malattia respiratoria, la trombosi è certamente un segno distintivo della maggior parte dei casi gravi. La ricerca “Platelets Promote Thromboinflammation in SARS-CoV-2 Pneumonia” condotta dai gruppi di ricerca del Prof. Pietro Minuz (Università di Verona) e della Prof.ssa Manuela Iezzi (Università di Chieti - CAST), con il sostegno economico della Fondazione TIM, Fondazione Cariverona e del MUR, è stata pubblicata nei mesi scorsi sulla rivista Arteriosclerosis, Thrombosis and Vascular Biology. Questo studio offre un interessante contributo alla conoscenza della fisiopatologia della malattia Covid -19 e all’identificazione di nuovi obiettivi terapeutici mirati all’attenuazione del processo infiammatorio e trombotico, spesso purtroppo letale nei pazienti più gravi

“Nei pazienti Covid-19 si generano piastrine che, interagendo con i leucociti, sembrano più predisposte a diffondere l’infiammazione attraverso il circolo sanguigno, causando così frequenti fenomeni di “ostruzione” (trombosi) nella rete vascolare polmonare e sistemica” – spiega Pietro Minuz, direttore della sezione di Medicina interna nel dipartimento di Medicina dell’ateneo di Verona - “abbiamo osservato e studiato pazienti con polmonite da virus SARS-CoV-2 in condizioni cliniche non gravi, in una fase inziale della malattia abbiamo trovato nel loro sangue piastrine coniugate a monociti e granulociti, due diversi tipi di globuli bianchi. Un fenomeno rilevante e associato a specifiche modificazioni del fenotipo delle piastrine che esprimevano sulla loro superficie la proteina P-selectina, implicata nel legame delle piastrine con leucociti e cellule endoteliali, evidenziando così una dannosa risposta infiammatoria con conseguente accelerazione coagulativa e trombotica” Si tratta di osservazioni in stretta connessione con la clinica della malattia, in quanto una più estesa e più grave polmonite si accompagna a un esasperato processo coagulativo. Questo dato, associato all’attività pro-infiammatoria delle piastrine dimostrata da questo studio, aiuta a spiegare i meccanismi e l’elevata prevalenza di trombosi polmonare nei pazienti Covid-19 e l’entità del processo infiammatorio evocato dall’infezione virale.

 

BARICITINIB – un farmaco utile nella lotta al Covid-19
 

Gli incoraggianti risultati di una ricerca pubblicata nei mesi scorsi sul Baricitinib, farmaco impiegato nella cura dell’artrite reumatoide e utilizzato in pazienti affetti dalle forme più gravi di Covid-19.

Il farmaco già impiegato per la cura dell’artrite reumatoide ed usato in modo “off-label” in combinazione con il Remdesivir nei pazienti affetti da Covid-19 è stato oggetto dello studio collaborativo che ha visto impegnati i gruppi dei Prof. Vincenzo Bronte e Oliviero Olivieri  dell’Università di Verona, della Prof. Manuela Iezzi (Università di Chieti – CAST) e del Prof. Claudio Lunardi (Ospedale “Pederzoli” Peschiera del Garda). Questo pionieristico lavoro di ricerca ha dimostrato come il Baricitinib sia in grado di ripristinare la capacità difensiva del sistema immunitario danneggiata dal Covid, un’azione che si traduce clinicamente non solo nella riduzione del fabbisogno di ossigeno dei pazienti e nel miglioramento della polmonite, ma anche con la ridotta mortalità tra i pazienti più gravi.

Questo lavoro ha evidenziato nei pazienti trattati con questo farmaco una marcata riduzione dei livelli sierici delle “temibili” citochine infiammatorie, valori normali dei linfociti T e B circolanti e un aumento della risposta anticorpale contro il virus. E’ stato studiato in modo approfondito anche il meccanismo di azione del farmaco, ponendo al centro dell’attenzione il ruolo di un particolare sistema di attivazione molecolare, una sorta di “centralina” infiammatoria, cruciale nel perpetrare il danno da Covid-19. Era però necessario che questi dati fossero confermati da studi più ampi.

E la recente pubblicazione sul prestigioso “Journal of Clinical Investigation” dello studio clinico statunitense coordinato dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) conferma che il Baricitinib è in effetti capace di ridurre significativamente il rischio di mortalità. Un grande passo in avanti è stato fatto grazie alla ricerca scientifica e alle sue preziose reti collaborative italiane e internazionali. Ora anche il vaccino si può attendere con più tranquillità”.

 

Viaggio in autobus alla ricerca di SARS-CoV-2
 

Negli scorsi mesi è stato svolto un interessante studio scientifico condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Chieti e volto a rintracciare la presenza del “COVID-19” negli autobus adibiti a trasposto pubblico locale. La ricerca ha riguardato il monitoraggio dell'aria e delle superfici a bordo degli autobus urbani dell’azienda “La Panoramica” di Chieti, per valutare una possibile contaminazione da SARS-CoV-2. Conosciamo bene ormai quali sono le principali vie di trasmissione di SARS-CoV-2: aerosol, goccioline e materiale infetto da contatto. Sappiamo anche la diffusione del contagio virale tra le persone è favorita dagli ambienti chiusi. Ma restano alcune incertezze riguardanti per esempio presenza e permanenza del virus nell’aria o sulle superfici. Le informazioni a questo proposito sono state spesso confuse e contraddittorie e in particolare sussistono ancora molti dubbi sulla sicurezza dei trasporti pubblici. E’ sicuro viaggiare in autobus? Per rispondere a questa domanda il gruppo di ricercatori dell’Università di Chieti ha analizzato l'aria e le superfici all'interno di un autobus urbano durante il suo normale orario di servizio, con il duplice obiettivo di rilevare la possibile diffusione del virus e di verificare l'efficacia delle misure protettive. Le misurazioni sono state effettuate durante la scorsa primavera, nell'ultima settimana di quarantena e nei primi giorni di graduale allentamento delle restrizioni. I campioni di aria e di superficie sono stati analizzati con il metodo RT-PCR per la rilevazione del virus SARS-CoV-2. e nessuno di essi è risultato positivo al virus SARS-CoV-2. Non è stato possibile, purtroppo, testare anche i passeggeri presenti sull’autobus, quindi non si sa se persone infette abbiano viaggiato sul mezzo durante le rilevazioni. Un recente lavoro, basato sull'analisi di dati provenienti da diverse parti del mondo (Cina, Italia, Stati Uniti, Grecia), suggerisce che le persone asintomatiche infettate da SARS-CoV-2 sono tra il 40% e il 45% della popolazione. Sulla base di questi dati, considerando una stima conservativa del 30% di persone infette asintomatiche, sui 123 passeggeri che viaggiavano in media ad ogni turno del servizio di trasporto, circa 37 persone infette e asintomatiche hanno potenzialmente toccato le superfici campionate alla fine dei viaggi e respirato all'interno dell'autobus. In base a questa ipotesi, gli studiosi ritengono che l’igienizzazione delle mani, attraverso l’uso del distributore di disinfettante a base alcolica posto all'ingresso dell'autobus, abbia contribuito a mantenere libere dal virus sia le superfici e l'aria all'interno del mezzo. L’obbligo per I passeggeri di indossare la mascherina durante il viaggio e la raccomandazione di tenere i finestrini aperti per consentire una sufficiente areazione, si sono così confermate misure essenziali ed efficaci in un luogo ristretto, come l'interno dell’autobus. In conclusione i risultati dello studio teatino confermano che le misure stabilite per il trasporto pubblico in termini di igiene, ventilazione dell'aria e precauzioni interpersonali (mascherina, distanziamento, igienizzazione delle mani) sono efficaci per garantire la sicurezza dei passeggeri e devono essere perciò mantenute e rispettate. I ricercatori coinvolti nello studio sono stati coordinati dal professor Piero Di Carlo, associato di Fisica Fisica dell’Atmosfera e Clima presso il Dipartimento di “Tecnologie Innovative in Medicina & Odontoiatria ed afferente al CAST e i risultati sono stati pubblicati all’inizio di novembre nella rivista scientifica “Plos One”. Gli autori della ricerca collaborativa UdA: Piero Di Carlo), Piero Chiacchiaretta, Bruna Sinjari, Eleonora Aruffo, Liborio Stuppia, Vincenzo De Laurenzi, Pamela Di Tomo, Letizia Pelusi, Francesca Potenza, Angelo Veronese, Jacopo Vecchiet, Katia Falasca e Claudio Ucciferri.

 

COVID-19 e Fibrosi Cistica: Meccanismi Fisiopatologici e Nuovi Approcci Terapeutici per Stimolare la Risoluzione dell’Infiammazione
 

Una risposta infiammatoria incontrollata e persistente è un segno caratteristico delle forme severe di COVID-19. L’infiammazione normalmente è controllata e portata a termine grazie all’intervento di piccole molecole prodotte dal nostro sistema immunitario, tra le quali ci sono le resolvine (Rv).
Lo studio dei meccanismi che normalmente controllano la risposta infiammatoria, pertanto, è di notevole importanza per conoscere più a fondo e trattare in maniera efficace l’infiammazione scatenata dal virus SARS-CoV-2. Questo diventa particolarmente rilevante per le persone affette da altre malattie infiammatorie croniche che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono più esposte al rischio di sviluppare sintomi gravi di COVID-19. Tra queste ci sono le persone affette da Fibrosi Cistica, la più importante malattie genetica caratterizzata da infiammazione e infezioni respiratorie croniche.

Il gruppo di ricerca coordinato dal dott. Antonio Recchiuti, attivo presso l’Unità di Medicina Molecolare del CAST diretto dal Prof. Mario Romano, ha recentemente ottenuto un finanziamento da parte della Cystic Fibrosis Foundation (ww.cff.org), il più importante Ente No-profit impegnato nella ricerca sulla fibrosi cistica.

Il progetto di ricerca dal titolo “COVID-19 Pathophysiology and Proresolving Therapies in Cystic Fibrosis” è stato finanziato nell’ambito di un bando che ha visto la partecipazione di gruppi di ricerca internazionali. A seguito di valutazione da parte di esperti di fama mondiale il progetto è stato tra gli 11 approvati per il finanziamento.

In questo studio, che avrà durata di anni e sarà condotto interamente presso il CAST, saranno condotti esperimenti per stabilire se le cellule di persone con FC hanno una risposta infiammatoria peggiore o ridotta al virus SARS-CoV-2. I ricercatori indagheranno, inoltre, le azioni delle resolvine durante l'infezione da SARS-CoV-2 per stabilire se rappresentano strategie terapeutiche per controllare l'infiammazione in COVID-19.

Il completamento di questo progetto, pertanto, migliorerà la nostra comprensione degli effetti della SARS-CoV-2 nella FC e contribuirà allo sviluppo di nuovi farmaci per combattere il COVID-19.